venerdì 21 marzo 2014

MyLife - IO COME IL VINO (Una poesia)

Scroscia nel calice,
rosso forte e puro,
ricordandomi di quand'ero
un bambino felice.
Tante estati, al mare, con mia sorella e molti amici;
ogni giorno a ridere giocare e scherzare,
mentre la vite, sul terrazzo, ci stava a guardare.

Ora lo guardo, lo odoro, lo contemplo,
mi immergo nella sua limpidezza
che mi riporta di nuovo indietro nel tempo,
quando avevo lo sguardo imbevuto di giovinezza e purezza,
e tutto quel che vivevo mi sembrava eterno.

Poi lo assaggio,
me lo faccio rotolare sulla lingua, sul palato,
facendolo saltare, lambire la mia bocca su ogni lato.
E come quando mi fermo a rimirare
le onde vitali del mare,
io mi inebrio,
e le sue rotondità mi fermo a gustare.

Ora lo inghiotto,
e mi sento scaldare in tutto il corpo:
dallo stomaco parte una nuova energia,
che, anche se a qualcuno pare pura follia,
ben presto, lo so, lei si trasformerà
in storie di vita e libertà.
E quando qualcuno le leggerà,
spero che come un buon vino le assaporerà,
perché, vita reale o fantasia,
gli avrò comunque donato un sorso di vita mia!


©Sergio Rilletti, 2010



mercoledì 12 marzo 2014

MyLife - CARTOOMICS 2013: SOLIDARIETA' COL BOTTO! (Un articolo/racconto)


Io non sono superstizioso. E faccio bene.
Però la vicenda che sto per narrare è accaduta Domenica 17 Marzo 2013. Già, 17 e ’13: due numeri che, nell’immaginario collettivo, non promettono nulla di buono.

Era la prima volta che andavo alla Fieramilano Rho, ed ero un po’ emozionato: curioso, dopo averne sentito parlarne parecchio, di vedere com’era.
Ero andato lì con mia zia, per la 20^ edizione di Cartoomics - Il Salone del Fumetto, una manifestazione di folklore fumettistico, che, da quando è nata, credo di non aver mai perso.
Dopo una lunga serie di peripezie per trovare la giusta combinazione di strade, sale, e ascensori, poco dopo le 11 giungemmo finalmente al tanto sospirato Padiglione 8, in tempo per vedere il mio amico Diego Cajelli, che avevo conosciuto sui banchi d’un corso di sceneggiatura, presentare la sua nuova serie a fumetti.
Eravamo appena fuori l’ingresso del Salone del Fumetto, quando
(PUM!)
un botto secco e assordante ci fece sussultare.
Mia zia inizia a guardarsi, irritata, intorno, per vedere chi può aver sparato un petardo, mentre io, che ho riconosciuto il rumore, guardo subito in giù: la gomma posteriore destra, infatti, era scoppiata!
Entrammo nello stand numero 8, e una ragazza alla reception, dopo averci vidimato il biglietto del parcheggio, e aver ascoltato, con l’aria un po’ svogliata, il breve resoconto di mia zia, sussurra qualcosa alla collega alla sua destra.
Questa, una bella brunetta longilinea e dallo sguardo sveglio, sentendo che avevo bucato, chiede: “Ma [la carrozzina] è nostra?”.
La zia risponde subito di no, ma io, ragionando rapidamente sul significato di quella domanda, che mi aveva stupito un po’, intuisco che avremmo potuto chiederne una in prestito a loro. E così, dopo qualche secondo, fingendo una sicurezza dovuta ad anni di esperienza, chiedo, tradotto simultaneamente da mia zia, se hanno una carrozzina da prestarmi.
Lei fa cenno di aspettare, cerca un numero di telefono, e chiede alla zia se può farlo lei. Nel frattempo, l’altra ragazza se n’era andata, e lei tornò ad occuparsi dell’assembramento che si stava formando.
La zia prova a comporre quel numero, ma è costretta a dire alla ragazza, che probabilmente era la responsabile della reception, che è inesistente.
La giovane inizia a scartabellare alcuni fogli, rassicurandoci sul fatto che avremmo risolto il problema, e compone un altro numero. Dopodiché chiede il mio nome e alcuni dati personali alla zia, coi quali compila un modulo, e ci dà la mappa del Salone, fornendoci anche qualche indicazione.
Le chiedo, sempre tramite mia zia, come si chiama, giusto per sapere chi dovevo ringraziare: Valentina.
Dopo pochi minuti d’attesa, forse un po’ lunghi ma comunque pochi, arriva un giovane castano ed elegante che ci consegna una carrozzina manuale, chiedendoci il  solo impegno di restituirla entro le 19.
E così fu.
Erano circa le 18 quando ripassammo davanti alla reception. Pochi secondi dopo comparve Valentina.
Dopo un paio di convenevoli, in cui notò l’enorme sacco di fumetti acquistati, chiamò un addetto alla Sicurezza per farci aiutare. Arrivò un giovane dai capelli rasati e l’espressione gioviale, una di quelle persone che infondono allegria e serenità solo a guardarle.
Fatto il trasbordo, e quindi rientrato in possesso della mia carrozzina, la zia gli racconta il motivo di quell’inconveniente, e lui si offre di accompagnarci fino all’uscita dell’edificio: gli dispiace, ma purtroppo, per motivi di sicurezza, non potrà spingersi oltre.
Il momento dei saluti è arrivato: mando la zia a ringraziare Valentina, raccomandandole di dirle che sono uno scrittore, che ho un blog, e che scriverò un articolo sull’accaduto.
Nell’ascensore, chiesi il nome anche al ragazzo: Giuseppe.
Lo salutammo, e ci avviammo, con la mia carrozzina che tendeva ad andare di traverso, verso l’auto.
Già. Quella Domenica 17 Marzo 2013, 17 e ’13 appunto, era iniziata malissimo. Ma finché esistono persone presenti come Valentina e Giuseppe, e si ha la fortuna di incontrarle, possiamo sempre ben sperare che le nostre giornate migliorino!


©Sergio Rilletti, 2013

lunedì 10 marzo 2014

SOLO!... I VOLONTARI TRA IL BENE E IL MALE (Un racconto autobiografico - Il secondo seguito di "SOLO!")


La storia che sto per raccontare è un'altra, allucinante, parte di ciò che è avvenuto dopo quella fatidica Domenica 9 Aprile 2006 al Parco di Monza, che i lettori conoscono col titolo Solo!.
E i fatti che sto per narrare hanno segnato una cicatrice profonda e indelebile nel mio animo, inducendomi a non fidarmi più completamente di due categorie di persone che stimo: i volontari e gli educatori. Indipendentemente dalla simpatia e dall'affetto che provo, in tutta sincerità, per alcuni di loro.
E il resoconto che segue, in cui sarò "spietatamente preciso" sui fatti - modificando solo i nomi, null'altro! -, è scritto con il dolore e la rabbia per ciò che è avvenuto, ma anche con la speranza di poter evitare ad altri volontari (e alle persone, in generale!) di commettere gli stessi, o analoghi, gravissimi errori.

Se è la prima volta che vi affacciate a questo mio "serial autobiografico", dove tutto ciò che racconto è totalmente vero al 100% (nomi a parte, naturalmente!), vi consiglio la lettura di Solo! (http://rilletti.blogspot.it/2014/01/solo-versione-originale-2006.html) e di Solo!… Come sfondai il muro dell'omertà (http://rilletti.blogspot.it/2014/02/solo-come-sfondai-il-muro-dellomerta-un.html ).
Se però preferite cominciare a seguirmi da questa vicenda, non c'è alcun problema.

Tutto iniziò quella fatidica Domenica 9 Aprile 2006, quando, dopo quasi due ore di affannose ricerche e tentativi per ritrovare Carletto – l’educatore volpone che mi aveva abbandonato al Parco di Monza – e i volontari che erano con lui, fui soccorso da una lungimirante e sensibile coppia di giovani, che, attraverso un giro di telefonate – che coinvolse Carletto e due volontari, Filomena e Asdrubale, entrambi avvocati -, riuscirono a farmi rimettere in contatto con loro.
Ma quei volontari, a cui ero legato da un sincero affetto che credevo ricambiato, mi tradirono. Più volte. Nel profondo.
Ma andiamo con ordine.

Quando, dopo quasi due ore di profonda angoscia passate alla ricerca di aiuto, riuscii a farmi recuperare da Carletto - grazie al provvidenziale intervento dei miei due giovani soccorritori -, Filomena, sul pulmino, mi rifilò una sequela di domande a raffica, come se avessi potuto riassumere in cinque minuti tutto quello che avevo vissuto in due ore di panico. Mi disse che avrei potuto scriverci su un bel racconto con protagonista Mister Noir, e che Asdrubale - ancora lì al telefono con lei - mi avrebbe dato il numero di cellulare della tipa che mi aveva soccorso, mettendo le basi, certo inconsapevolmente, ad una serie di azioni di estrema vigliaccheria che li avrebbe segnati per sempre. Insieme ad altri.
Giunti alla Cascina Costa Alta, nessuno mostrò il minimo interesse per quello che mi era accaduto. Mi fecero solo un applauso, ma niente di più. Nemmeno  Guido, che sembrava sinceramente affezionato a me, proferì parola al riguardo.
E non mi disse nulla nemmeno quando, mezz’ora dopo, ripartì in anticipo, per conto proprio, per motivi di lavoro.
Ritornato a Milano – con Carletto, Filomena, e gli altri utenti e volontari dell’Organizzazione – l’educatore volpone, col suo allegro tono da sfottò, disse ai miei genitori, che avevano chiesto cos’era accaduto, che non avevo molto il senso dell’orientamento. Con l’inevitabile conseguenza di essere mandato ripetutamente a ‘fanculo dal sottoscritto.
Tornando a casa, i miei genitori mi chiesero cosa fosse successo, ma io fui evasivo.
Forse, considerata la gravità di quanto era avvenuto, avrei dovuto chiedere loro di rimandare la partenza e di andare a parlare subito con Chiara e Gelsomino, i due educatori-responsabili dell’Organizzazione; ma, non volendo costringere mamma e papà ad accorciare quella piccola vacanza - di cui avevano tanto bisogno -, per affrontare una situazione particolarmente spiacevole, dissi loro che era accaduta una cosa grave, che era finita bene, ma che l’avrei raccontata con calma perché era lunga.
Quella sera stessa inviai un’e-mail ad Asdrubale, il volontario avvocato, per ringraziarlo del suo prezioso intervento, grazie al quale ero riuscito a rintracciare gli altri. Avrei voluto chiedergli subito il numero di cellulare del ragazzo che mi aveva soccorso assieme a Lisa (il nome della ragazza me lo ricordo bene, ed è proprio Lisa!), ma, per non trasformarla in un’e-mail “interessata”, non lo feci.
In fondo era stato lui che, quand’era al telefono con Filomena, mi aveva promesso, di sua spontanea volontà, che me l’avrebbe dato. Perché avrei dovuto pressarlo, perché avrei dovuto dubitarne?

Il giorno dopo, Lunedì 10 Aprile 2006, quindi, come da programma, partimmo per Celle Ligure (SV). Mente e stomaco erano ancora rivolti al Parco di Monza.
Quella sera ricevetti due e-mail; ma non da Asdrubale - come invece mi sarei aspettato -, bensì da Filomena e da Gelsomino, il responsabile-capo dell’Organizzazione.
Filomena dichiarò di essere “dispiaciuta della [mia] disavventura” del giorno prima, e, preoccupata che mi fossi arrabbiato, mi invitò a confidarmi con lei; io mi fidai, e le scrissi cosa pensavo di Carletto.
Gelsomino, invece, mi scrisse che aveva saputo che mi ero perso ma che mi ero “districato brillantemente”, e che quindi dovevo esserne orgoglioso; io, fidandomi anche di lui, gli risposi che in effetti ero molto orgoglioso di me, che era stata un’esperienza particolarmente ostica (sotto molti aspetti), e che comunque ne avremmo parlato con calma al mio ritorno a Milano… tralasciando il “piccolo” particolare che, in realtà, non mi ero perso ma mi avevano perso (come aveva giustamente intuito Lisa, la mia giovane soccorritrice).
Già. Io mi fidai di entrambi.
E feci male. In entrambi i casi.
Perché quello fu l’inizio dell’omertoso silenzio.

E venne Martedì.
Lo passai con la mente e lo stomaco ancora in tumulto sia per ciò che avevo vissuto al Parco di Monza sia, soprattutto, per la mancanza di sensibilità che ne era seguita.
Alla sera aprii l’e-mail, per vedere cosa mi avevano risposto Asdrubale, Filomena, e Gelsomino.
Gelsomino, notando che ora e data sull’e-mail che gli avevo inviato erano sbagliate, pensò di liquidarmi con queste esatte parole (che riporto fedelmente dalla sua e-mail): “Mi sa che hai qualche problema con la data del computer”. Punto.
Da Asdrubale e Filomena, invece, nessuna risposta.

E venne Mercoledì.
Decisi di raccontare ai miei genitori cos’era accaduto. Non proprio nei dettagli, come avrei fatto in seguito con Solo!, perché la narrazione orale e le mie difficoltà motorie mi imponevano una certa sintesi, ma comunque in modo preciso sui fatti.
Rivelai ai miei genitori che Asdrubale e Carletto avevano il numero di cellulare del ragazzo che mi aveva soccorso con Lisa, e, quella sera, mia madre, me presente, telefonò a Carletto; mentre io, di notte, scrissi a Filomena chiedendole il numero di cellulare di Asdrubale.
Carletto rispose che provava a cercare quel numero ma che il suo cellulare teneva memorizzate solo le ultime 20 telefonate effettuate. E, cosa alquanto anomala, non chiese minimamente di me, di come stessi. Perché?
Filomena, invece, mi diede subito il numero di cellulare di Asdrubale, senza però proferir alcun commento sulla mia e-mail precedente.
Ma quando mia madre lo chiamò, per ringraziarlo e per chiedergli il numero di telefono del ragazzo, lui fu molto sbrigativo, quasi seccato, dicendo che ormai non ce l'aveva più.
Non ce l'aveva più??? Come Non ce l'aveva più?! Lui era un avvocato, ed era al corrente di tutto! E se avessi voluto assumerlo per querelare Carletto per abbandono e danni morali, cos'avrebbe fatto???

E venne Giovedì pomeriggio.
Trovando alquanto strano che Gelsomino non si fosse messo direttamente in contatto coi miei genitori, lo chiamammo, e mia madre gli disse solo che avevo raccontato cos'era accaduto, che, sì, ora ero più tranquillo, e che ne avremmo parlato con calma al nostro rientro, augurandogli Buona Pasqua.

E venne venerdì.
E venerdì, finalmente, mi rispose Asdrubale.
Io mi aspettavo un'e-mail di "bonaria complicità", come lo era stata la mia di Domenica sera, e magari un amichevole accenno alla telefonata con mia madre.
Invece no, niente di tutto questo!
Mi scrisse, invece, un'e-mail allucinante in cui dichiarava: "Sì, certo, non sarà stato piacevole sentirsi perso....; ma, anche queste esperienze fanno parte della vita! Personalmente, ritengo sia meglio viverle (per di più, in occasione di un bel fine settimana con amici...), piuttosto che starsene "al sicuro", nelle mura della propria casina!!!"
Rimasi sbigottito; come tutti quelli che la lessero, d'altronde!
Non potevo crederci. Non sembrava più lui.
Non sembrava certo la stessa persona che, appena cinque giorni prima, al telefono col ragazzo che mi stava aiutando si era indignato verso chi mi aveva abbandonato, comprendendo perfettamente la gravità della situazione!
Già. Il tanfo dell'omertà cominciava farsi sentire in modo pregnante, ma io non volevo crederci!

Quindi aspettai altri sei giorni, fiducioso che Asdrubale mi avrebbe riscritto, di sua spontanea volontà, per darmi il numero di cellulare del ragazzo.
Tanto, ormai, la mamma era stata chiara, sia con Carletto sia con Asdrubale. Io volevo quel numero solo per ringraziare Lisa e il suo amico, nulla di più!
E poi Asdrubale me l'aveva proprio promesso. Era ovvio che, almeno lui, me l'avrebbe dato.
Invece no!
Così Giovedì 20 decisi di rispondere alla sua e-mail, chiedendogli quel numero, come se non avesse già parlato con mia madre, ribadendo che ci tenevo proprio tanto a ringraziare quei due ragazzi. Ma l'unica sua risposta fu "Come ho già detto a Tua mamma, non ho tenuto quel numero di cellulare", con quell'orrenda T maiuscola, simbolo di distanza e di agghiacciante rispetto formale.
Mi pentii subito di non aver specificato "…come mi avevi promesso", così come mi pentii di non averglielo ricordato subito, nella prima e-mail; ma non avevo voluto pressarlo, avevo voluto fidarmi di lui, e ormai era fatta!
Intanto Filomena, che mi aveva invitato a confidarmi con lei, continuava a tacere.

Tornati a Milano andammo a parlare con Chiara e Gelsomino, il capo.
Lui mi disse di raccontare pure, ma mia madre gli chiese di dire prima lui cosa avevano saputo. Lui, colto di sorpresa, rispose che gli avevano detto che mi ero perso, ma che comunque li avevo ritrovati abbastanza in fretta, in circa dieci minuti. "Giusto?"
"E' stata un po' più lunga!" risposi sorridendo.
E così cominciai a raccontare quella mia drammatica esperienza.
Chiara mi seguiva con estrema attenzione, cercando di immedesimarsi in me. Gelsomino, invece, ripeteva semplicemente quello che diceva lei.
Ci salutammo cordialmente, e io espressi tre desideri: parlare di persona con Carletto, ricevere un cenno d'interessamento da parte dei volontari che mi avevano abbandonato, e recuperare il numero di cellulare dei due giovani che mi avevano aiutato; per ringraziarli, solo per ringraziarli!
Quel numero, oltretutto, era rintracciabile pure da Filomena - anche lei avvocato -, dato che i due ragazzi avevano trovato Asdrubale chiamando sul telefono di casa di lei. Quindi, quel numero, aveva lasciato ben due tracce: una sulla linea di Filomena, e una su quella di Carletto. Più Asdrubale, che l'aveva annotato e me l'aveva pure promesso.

Passò del tempo. E venne Maggio.
Andai alla riunione annuale dei Soci dell'Associazione dei volontari, la cui iscrizione era obbligatoria solo per i volontari stessi, ma a cui mi ero iscritto sempre, sin dalla sua fondazione - partecipando pure attivamente alla serata d'inaugurazione facendo un lungo intervento -, per pura solidarietà.
Era la prima volta che rivedevo i miei "smarritori", e quindi, con tutto quello che avevo detto a Chiara e Gelsomino, il capo, mi aspettavo che si avvicinassero per dirmi qualcosa. Sarebbe stato naturale aspettarselo anche se non avessi avuto quel colloquio, ma a maggior ragione ora.
Notai invece dei movimenti strani, come se volessero evitarmi; e Filomena, appena mi vide, si fiondò fuori, come se dovesse consultarsi urgentemente con qualcuno.
E nessuno mi disse una parola al riguardo.
Ovviamente, al momento di rinnovare l'iscrizione, non lo feci. E, altrettanto ovviamente, non la rinnovai mai più.

Passò altro tempo. E venne Giugno.
E, con Giugno, arrivò anche la tradizionale Grigliata di Fine Anno.
Lì, i volontari avrebbero avuto tutto il tempo per avvicinarsi e dirmi qualcosa - anche solo una piccola frase - al riguardo, per mostarmi solidarietà.
Invece no, niente.
Neppure Guido, un tipo estremamente socievole e simpatico, pur avvicinandosi allegramente a me non sfiorò l'argomento. Va bene che lui non c'era né quando erano venuti a riprendermi al Parco né all'arrivo a Milano, e quindi non mi aveva visto innervosito, ma possibile che nessuno gli avesse detto niente???
E poi, comunque, indipendentemente da tutto ciò, una sagace battuta su ciò che mi era capitato, da parte sua, me l'aspettavo proprio!

Comunque, prima di partire per le vacanze estive, andai a ribadire a Chiara e Gelsomino, il capo, il mio stupore per l'assoluto disinteressamento dei volontari e i miei tre forti desideri, che non mollavano mai i miei pensieri.
Chiara, in separata sede, mi consigliò di prendere l'iniziativa e di scrivere io ai volontari. Ma io, turbato dal silenzio che aveva calato Filomena dopo avermi invitato a confidarmi con lei, e riponendo ancora una malsana fiducia in Gelsomino - il cui deprecabile comportamento ho già raccontato in Solo!… Come sfondai il muro dell'omertà -, decisi di aspettare.

E vennero pure Luglio e Agosto.
Appurato che non accadeva nulla, e che il numero di cellulare non stava saltando fuori, approfittai di un'avventura di Mister Noir che avevo scritto per il sito della LEDHA - Lega per i diritti delle persone con disabilità -, per aggiungervi una premessa/dedica per i miei due giovani e lungimiranti soccorritori, esprimendo loro il mio ringraziamento e la speranza di poterli ritrovare.
Aspettai il commento di Antonia, una volontaria che aveva sempre commentato i miei scritti; ma, guarda a caso, proprio quella volta tacque.

E così, in un'attesa sempre meno fiduciosa ma pur sempre speranzosa, vennero e passarono anche tutto Agosto, Settembre, Ottobre, e Novembre, quando ribadii a Chiara e Gelsomino (il capo), questa volta in modo un po' più deciso, che i volontari non si erano ancora fatti vivi.
Non accadde nulla.

Finché non venne Dicembre e la tradizionale Festa di Natale dell'Organizzazione.
E io compii l'azione che mi permise, finalmente, di ottenere l'incontro coi volontari e quello con Carletto.
Non essendo proprio spietato come alcuni miei personaggi, aspettai che la festa - a cui non andai - si compisse, per non rischiare di rovinarne il clima, e, il giorno dopo, scrissi un'e-mail a quasi tutti quelli che, a vario titolo, avevano rapporti con l'Organizzazione, denunciando quello che stavo subendo (i cui dettagli e risultati sono accuratamente riportati nel racconto sopra citato).

E così, nel Febbraio 2007, dopo "appena" dieci mesi da quella fatidica Domenica 9 Aprile 2006, riuscii a parlare dell'accaduto coi volontari.
Ci incontrammo un Lunedì sera, alla sede dell'Organizzazione. Eravamo io, i miei genitori, Antonia, Guido, Filomena, Chiara, e Gelsomino, il capo. E io e i miei genitori ci armammo di pazienza… e delle e-mail che mi avevano mandato!
(A dire la verità, quella fatidica Domenica al Parco di Monza c'erano anche altri due volontari, un ragazzo e una ragazza, che però, conoscendomi poco, non potendo contattarmi direttamente, e non avendoli più rivisti, ho sempre potuto concedere loro il beneficio del dubbio, e quindi non avevo chiesto di convocarli.)
Mi stavo già innervosendo per la mancanza di Asdrubale, ai miei occhi quello con la colpa più grave (a parte Gelsomino, naturalmente!), quando mi dissero che sarebbe arrivato a breve.
Infatti arrivò.
La prima persona che parlò fu Chiara, e disse che i volontari avevano subito avvertito di quanto era avvenuto, e di questo bisognava dargliene atto.
Poi Chiara invitò i volontari a raccontare come avevano vissuto quel momento, e sia Filomena sia, soprattutto, Guido si prodigarono a raccontarmi i fatti.
A quanto pare, mentre stavo girando per il Parco di Monza in cerca d'aiuto Carletto arrivò alla Cascina Costa Alta coi due risciò. E iniziò ad aspettare.
Loro, i volontari, continuavano a dire che era meglio venirmi a cercare, ma Carletto indugiava, fiducioso che dovessi arrivare. Poi, dopo un bel po', partirono a cercarmi.
Guido, che non era tra quelli del gruppo dei risciò, tentò comunque di ripercorrere la strada a ritroso, correndo a perdifiato, col cuore in gola. Ma poi, spossato, aveva dovuto fermarsi.
Gli altri, guidati da Carletto, avevano fatto un lungo e inspiegabile giro esterno col pulmino.
La dinamica del giro col pulmino mi è tuttora misteriosa, dato che era parcheggiato molto più vicino a dove mi trovavo io che alla Cascina, ma il loro resoconto era compatibile col mio vissuto, e quindi non ho mai dubitato che, su questo punto, siano stati sinceri!
E quando mia madre disse che il tutto era durato un'ora, loro esclamarono: "Oh, altroché!… Almeno un'ora e mezza, un'ora e quaranta; ma anche di più!".
Ma Gelsomino non era convinto che si era risolto tutto in dieci minuti??? Se i miei occhi avessero potuto emanare fiamme, l'avrei incendiato. Ma non volevo metterlo in imbarazzo con i suoi volontari, e allora mi trattenni a dismisura.
Poi venne il mio turno, e, aiutato dai miei genitori, dopo aver riassunto brevemente ciò che avevo vissuto, facendo intuire abbastanza chiaramente i grossissimi guai giudiziari a cui non li avevamo fatti incorrere, chiesi spiegazioni dei loro comportamenti.
Filomena disse che, quando aveva ricevuto la mia e-mail, aveva voluto tirarsene fuori, non scrivendomi più, pensando che dovessero sbrigarsela loro, i tre educatori. Probabilmente non pensando che, cosi facendo, avrebbe fatto una pessima figura proprio lei, di persona!
Antonia disse che non aveva commentato il mio racconto, contrariamente a quanto faceva di solito, semplicenente perché non ci aveva pensato.
Guido disse subito che, appena aveva letto il titolo della mia e-mail di Dicembre - No Party, No Omertà - aveva riso, ma poi, leggendola, si era infuriato con Chiara e Gelsomino, non avendo la più pallida idea che avessi espresso l'esigenza di parlare con loro.
Filomena confermò con impeto, ma esagerò, dichiarando come, alla Festa, un'altra volontaria l'avesse fatta sentire in colpa. Già. Peccato che quell'e-mail io l'avessi scritta dopo la Festa di Natale, non prima!
Ma non dissi nulla!
E, cosa ancora più misteriosa, non si era accorta che, quando finalmente erano riusciti a recuperarmi al Parco, mi ero arrabbiato con Carletto: credeva che fossi contento di rivederli!… E quindi, quando aveva visto la mia reazione all'arrivo a Milano (praticamente uguale alla prima!) si era stupita!
Un'impressione che, per qualche arcana ragione, aveva avuto anche Guido.  Già. Guido, che non era stato presente né al mio ritrovamento al Parco né all'arrivo a Milano, aveva avuto la stessa impressione di Filomena!
Avrei voluto farglielo notare subito, e probabilmente avrei fatto bene, ma il fatto che fino a quel momento fosse stato solidale con me, mi bloccò. E rimasi scioccato.
Ma ora toccava ad Asdrubale, l'avvocato, giustificarsi. E lì la situazione precipitò definitivamente; e con essa precipitò, irrimediabilmente, anche la bella reputazione, peraltro già abbastanza incrinata dalle ultime affermazioni, che ciascun volontario aveva faticato a ricostruirsi.
Asdrubale, dopo aver accolto in malomodo i ringraziamenti di mia madre, cominciò a parlare freneticamente, sostenendo che se gli chiedevo un numero di telefono di cinque o dieci anni prima, lui, magari, non ce l'aveva più!
Cinque o dieci anni prima??? Ma che cacchio stava dicendo?!
Gli feci notare che quel numero me l'aveva promesso subito, quella fatidica Domenica, quando era ancora al telefono con me e Filomena, ma lui negò. E Filomena, ahilei!, asserì di non ricordarselo.
Ribadii che quel numero mi serviva per ringraziare i due giovani che mi avevano soccorso con la speranza, magari, di poterli rivedere. Lui, con la faccia da muro, rispose che aveva capito ma che ormai non ce l'aveva più, perché, una volta risolto il problema, l'aveva buttato. E io gli dissi che la sua tesi non era affatto credibile, dato che me l'aveva proprio promesso (non sottolineando che, essendo un avvocato - oltretutto testimone dei fatti -, non solo avremmo potuto assumerlo, ma, se avessimo voluto procedere comunque per vie legali, a quel punto si sarebbe ritrovato in grossissimi guai anche lui!).
Mia madre lo informò che, quando gli avevo scritto quella fatidica Domenica (sera), mi sarei aspettato una risposta immediata, che non ci fu. Ma lui negò, con irruenza, dicendo che mi aveva risposto subito.
A quel punto mia madre, su mia richiesta, annunciò che avevamo portato le e-mail. All'inizio erano tutti concordi che le mostrassimo, ma poi, appena queste comparvero dalla borsa, si scatenò una terribile bagarre generale.
Tutti i volontari si alzarono e ci vociarono contro, in difesa di Asdrubale. Con il risultato che mia madre dovette spostare l'attenzione da lui a loro, e io non riuscii più a comunicare con lui, che, nonostante vedesse che volevo parlargli, pensò bene di rimanere rintanato sulla sua sedia.
Ripristinato l'ordine, Chiara mi chiese se avessi qualcos'altro che volessi sapere; ma io, ancora rintronato da quell'inaspettata esplosione di grida, mi dimenticai delle e-mail che volevo mostrare, e chiesi invece perché, quando erano venuti a recuperarmi col pulmino, anziché essere un gruppo di soli volontari c'erano anche dei disabili.
Filomena me lo spiegò; ma la spiegazione risultò molto contorta, e ormai, comunque, non aveva più molta importanza.
Chiara, sinceramente interessata, mi chiese due volte se fosse tutto a posto. E io, anche se avevo l'impressione di avere ancora qualcosa in sospeso (le e-mail da mostrare, appunto!), risposi di sì.
A quel punto io mi aspettavo di ricevere un regalo, anche piccolo, da parte del gruppo: una sorta di "premio di riconoscenza" sia per quello che mi avevano fatto passare loro sia per i grossissimi guai giudiziari che non avevo fatto passare a loro.
Invece no, niente: evidentemente non doveva esserci nemmeno un piccolissimo, tangibile, ricordo dell'ammissione del "misfatto"!
La mamma annunciò che avevo scritto Solo!, e che era stato pubblicato su M-Rivista del mistero "Lezioni di paura"; e tutti sembravano interessati a leggerlo.
Filomena mi promise che avrebbe richiesto i propri tabulati telefonici, in modo da ritrovare il numero di cellulare del ragazzo che mi aveva soccorso con Lisa.
Ci salutammo affettuosamente. E io tornai a casa, non proprio soddisfatto ma comunque un po' più tranquillo, consapevole di aver fatto il massimo e di aver ottenuto tutto quello che era possibile: non il massimo auspicabile, ma il massimo reale, considerati gli avvenimenti.

Nei giorni successivi, su consiglio di mia madre, scrissi delle e-mail a Chiara & Gelsomino e ai volontari per ringraziarli della serata. A tutti tranne a uno. Informandoli che, probabilmente, avrei ripreso l'argomento in futuro.
E, cavallerescamente, ne scrissi un'altra a tutti quelli a cui avevo inviato l'e-mail No Party, No Omertà, informandoli dell'avvenuto chiarimento, ringraziando sia Chiara sia Gelsomino.
E quando, pochi giorni dopo, un altro volontario mi chiese com'era andato l'incontro, io gli risposi che, a parte Asdrubale, era andato complessivamente bene.
"Tutto bene, quindi?"
"Complessivamente sì!"
Non so se il suo interesse fosse sincero o se lui fosse "in missione", ma mi era simpatico, e la risposta, onesta e diplomatica, era comunque quella.

Nel frattempo, Massimo Maugeri pubblicò Solo! sul suo prestigioso blog letterario, tuttora aperto ai vostri commenti all'indirizzo http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/06/16/solo-racconto-di-sergio-rilletti/ , che si espanse a macchia d'olio sul web.
Ma, nonostante tutto questo e tutto quello che ne è conseguito, e nonostante che io li abbia sempre informati sui vari sviluppi di Solo!, nessuno di questi volontari mi ha mai scritto un commento su questo mio racconto; esattamente come Carletto, l'educatore volpone, e Gelsomino, il loro educatore-capo.
Tra tutti quelli coinvolti nella vicenda di Solo!, solo Chiara mi scrisse un commento adeguato al riguardo, distinguendosi, anche per questo, dagli altri. A cominciare dai suoi due colleghi.

I mesi passarono, e Filomena, prima dell'estate, mi scrisse che si stava interessando per recuperare i tabulati telefonici.

E venne Dicembre 2007, e io e i miei genitori andammo alla Festa di Natale dell'Organizzazione.
Filomena non mi disse nulla, mentre Antonia mi portò in giro mostrando a tutti Borsalino - Un diavolo per cappello, la prima antologia a cui ho partecipato, e ad un volontario, col quale avevamo fatto altre esperienze al  Parco di Monza, confidò che Carletto, l'ultima volta, mi aveva abbandonato lì.
Non so se lo fece per rimettersi a posto con me, ma sicuramente lo apprezzai.

Qualche mese dopo, scrissi a Filomena chiedendo notizie sui tabulati, ma lei non mi rispose. Glielo chiesi una seconda volta, ma non ottenni risposta.
E non mi disse nulla neanche alla Grigliata di Fine Anno (Giugno 2008).
Mi sentii tradito per l'ennesima volta. E fu l'ultima volta che andai ad una festa dell'Organizzazione.
Mentre un loro ex-utente mi confessò di averli già mollati perché si erano comportati male anche con lui.

Ma se quei volontari, alla fine, ne sono usciti malissimo, ce ne sono stati altri che mi hanno manifestato la loro solidarietà, scrivendomi o postando commenti sul blog. Ovviamente, in quest'ultimo caso, senza dichiararsi come volontari della suddetta Organizzazione (e questo è comprensibile!), ma comunque dimostrandomi la loro vicinanza ed empatia.
Se anche gli altri l'avessero capito, ciascuno di loro si sarebbe evitato il 100% d'una pessima figura, e tutto quello che ne è conseguito non sarebbe mai accaduto.

Già. Quella volta i volontari hanno tradito la mia fiducia. Più volte.
E io ho deciso di scrivere questo articolo/resoconto per impedire che altri volontari commettano gli stessi, o analoghi, gravissimi errori.
Sì. Perché i volontari sono una categoria da tutelare, che offrono il proprio tempo libero gratuitamente, senza vincoli contrattuali.
I volontari di questa storia hanno tutti sbagliato, in modi diversi, e ciascuno deve assumersi il 100% di responsabilità per ciò che ha fatto.
Ma conosco anche volontari straordinari, a cui sono sinceramente affezionato e coi quali è nato un rapporto proprio speciale, sia con me sia di gruppo: un risultato "epico", che non è mai stato raggiunto prima. E devo sicuramente riconoscere, ogni volta, a ciascuno di loro, il 100% del proprio personale merito!

©Sergio Rilletti, 2012

sabato 8 marzo 2014

DELITTO DI COPPIA (Un racconto thriller)

Quella sera sarebbe stata la sera, la sera in cui lui e Linda avrebbero potuto giurarsi amore eterno. Non davanti a Dio e agli uomini, naturalmente, per quello avrebbero dovuto aspettare ancora un bel po’, ma comunque era già qualcosa.
Sempre meglio che un pugno in un occhio o un calcio nel culo, cose che aveva sempre rifilato a sua moglie negli ultimi sei anni.
Lei diceva di amarlo, la stronza; lei diceva di amarlo eppure non lo capiva, la troia.
In fondo era colpa sua
(di lei!)
se era arrivato a questo. Era tutta colpa sua.
Lui lavorava tutto il giorno, lei rimaneva in casa, a non fare un cazzo,
(Già. Perché, com’è noto, tutte le casalinghe non fanno un cazzo!),
poi lui tornava a casa, ed effettivamente trovava la casa che era uno specchio.
Sì, certo!, ma capirai!, per pulire bene una casa, per quanto grande sia, basta che ti metti un po’ d’impegno, e...
trin-trun-tran!,
nel giro di mezz’ora hai già fatto tutto!
E poi, alééé!, poteva dedicarsi alla sua amica Linda.
Già, proprio una bell’amica, quella!
Già, proprio una bell’amica, l’amica degli animali.
Già, proprio una bell’amica, la sua futura compagna.
Si erano conosciuti una sera, quando a Clara, sua moglie, venne l’idea di andare a teatro in tre. Lei, Lui, e l’Altra.
Lo sguardo incandescente di Linda gli fece divampare la passione.
Una passione dirompente, dilaniante, accecante. Una di quelle passioni che ti penetra negli occhi e poi va giù, giù, fino allo sfintere.
Una passione che te la fa sbattere contro il muro della sua stanza, abbassarle le spalline del suo abito nero, gettarla sul letto, buttartici sopra, e scoparla senza sosta per tutta la notte.
Una passione come questa non si può esaurire in una volta o due, deve essere coltivata, alimentata quotidianamente. E più va avanti, più ti accorgi che non puoi farne a meno. E’ una droga, e ogni notte devi farti una botta di sesso!
E così, Clara si godeva Linda di giorno, e lui, all’insaputa di Clara, se la godeva di notte.

Clara voleva solo essere amata. Nient’altro.
E lui non l’amava più.
Non l’amava più da molti anni. Anzi!, a pensarci bene, forse non l’aveva mai amata.
Il loro era stato un matrimonio di interesse, lo sapeva! L’aveva sposato perché altrimenti suo padre, uno dei tanti soci dell’azienda di lui, rischiava di essere estromesso.
E così mise da parte le sue passioni, i suoi sogni, le sue ambizioni, e decise di sposare l’uomo che non avrebbe mai potuto amare.
­Per suo padre, che non l’aveva mai potuta accettare, e che ora, finalmente, avrebbe potuto essere orgoglioso di lei!
Sì, era stato un matrimonio di convenienza! Era passata sopra a tutto, persino sopra al grande amore della sua vita. Un amore lontano, di un tempo che non era più, un amore ormai passato che i suoi genitori non avevano mai accettato.
Era passata sopra a tutto, sì, ma non sopra alle botte. Quelle no, non poteva sopportarle. Anzi!, le aveva sopportate fin troppo a lungo, a pensarci bene; per oltre sei anni, nella speranza che le cose potessero cambiare, nella speranza di ottenere un po’ di rispetto.
Invece no. Niente. Niente di niente!
Lui l’accusava di appartenere ad una razza inferiore. E allora la picchiava: calci e pugni, e poi ancora calci e poi ancora pugni.
Fino a piegarla al suo volere.
Come una bestia da circo.
Ma ora basta! Quella sera sarebbe stata la sera, la sera della svolta, la sera dell’addio. Lei l’avrebbe piantato lì, da solo, in cucina, e avrebbe cambiato vita.

Linda aveva pianificato tutto! Quella sera sarebbe stata la sera, la sera in cui avrebbero potuto giurarsi amore eterno. Non davanti a Dio e agli uomini, naturalmente, ma questo non le importava.
Non le importava affatto!
A lei importava soltanto essere amata. Con il corpo, e soprattutto... con l’anima. Un amore delicato, tenero; un amore fatto di sguardi, di sensazione; uno di quegli amori in cui le linee dei polpastrelli sfiorano la pelle della persona amata, scandagliandola millimetro per millimetro facendoti percepire persino l’anima.
Lei lavorava come commessa nel negozio L’AMICO DEGLI ANIMALI, dove si vendevano animali e accessori vari, compresi quei prodotti che con un “amico degli animali” non avevano nulla a che fare.  Quindi, in quello stesso negozio, si potevano trovare: cani e canarini, cucce e ciotole, ma anche veleni e trappole di tutti i tipi.
E quella sera sarebbe accaduto esattamente quello che lei aveva preordinato: dopo aver esaurito quell’ultima, fatidica cena a casa con sua moglie, dopo essersi rimpinzato anche del dolce, lui si sarebbe alzato, le sarebbe andato alle spalle, e l’avrebbe silenziosamente strangolata con il braccio, in modo da non lasciare impronte digitali; dopodiché, con tutto comodo, avrebbe rovesciato la casa e nascosto qualcosa di valore per simulare un furto.
Questo era il piano che gli aveva esposto. Un piano semplice ma perfetto, che, se attuato con cura, era praticamente impossibile scoprire.

La fredda luce del neon illuminava la cucina. Fuori, il buio che si scorgeva dalla portafinestra non riusciva a penetrare nella casa.
Era sera.
Era la sera.
Era la sera in cui le cose sarebbero cambiate. Definitivamente.
Clara si era alzata a prendere il dolce, mentre lui stava finendo di sbranare una bistecca al burro che aveva come contorno delle appetitose patate al forno. La sua bocca macinava senza sosta, e lui si ficcò dentro l’ultimo boccone di carne prima ancora di aver inghiottito quello precedente. Ruttò rumorosamente.
Clara gli tolse il piatto sporco, e gli portò il dolce. Una gustosissima torta alla vaniglia e nocciola, con tre ciliegie sciroppate per fetta.
Lui cominciò a intaccare la sua fetta di torta, a masticarla, e a ingurgitarla.
Lei, intanto, cominciò a lavare i piatti.
Lui ingurgitò la sua fetta di torta, un boccone dopo l’altro, si pulì rudemente la bocca, e si fermò un attimo a guardare Clara davanti al lavello, intenta a pulire e rigovernare i piatti. Si alzò, le andò alle spalle, e iniziò a palparla avidamente: l’interno delle cosce, il ventre, i fianchi, i glutei, ancora il ventre, e poi su, su, fino ai seni.
Poi, d'un tratto, con il braccio sinistro le serrò la gola mentre con la mano destra aumentava la leva. Il volto di Clara diventò paonazzo, mentre quello di lui sudava e il suo corpo ansimava; sudava e ansimava come mai aveva fatto prima. Clara si concentrò, racimolò tutte le sue forze, e gli sferrò una gomitata nello stomaco: la reazione, del tutto inaspettata, di sua moglie lo fece indietreggiare fino a farlo sbattere contro la parete.
Lei si girò per fronteggiarlo: era sudato e ansimante, con il volto paonazzo, incredulo e infuriato. Lui, con le mani ad artiglio protese in avanti, emise un atroce urlo avventandosi contro di lei: fece qualche passo; poi si bloccò di colpo, e stramazzò bocconi al suolo.
Clara rimase immobile a guardarlo per qualche secondo. Il topicida con cui aveva infarcito la torta surgelata, unito allo sforzo del marito per strangolarla, aveva ottenuto l’effetto desiderato.
Il suono del campanello la fece sussultare.
Con lo sguardo stralunato e il passo incerto si mosse, abbandonò il cadavere del marito in cucina, e andò ad aprire la porta.
“Fatto?” le chiese Linda, con la sicurezza di chi sapeva già che tutto era andato come aveva preordinato.
“Sì” rispose lei ansiosamente, scuotendo la testa.
Linda fece qualche passo, chiuse la porta con un leggero calcio all’indietro, prese il capo chino di Clara, e lo sollevò fino a quando i loro occhi si incontrarono. Lo sguardo smarrito di Clara e quello sicuro di Linda entrarono in contatto.
Le due donne si guardarono intensamente, poi Linda accostò la sua bocca a quella di lei, e iniziarono a dar vita ad un voluttuoso bacio. Finalmente, dopo tanto tempo di finzioni, di lotte, e di sofferenze, erano libere, libere di vedersi, libere da quell'essere che alcuni chiamavano uomo!
Sì, finalmente ce l’avevano fatta! Finalmente, da quella sera, avrebbero potuto giurarsi reciprocamente amore eterno!

©Sergio Rilletti, 1999

lunedì 3 marzo 2014

SANREMO 2014: LA GRANDE BELLEZZA (Un articolo inedito)

Non so quanto abbia influito il successo internazionale dell’ultimo film di Paolo Sorrentino, La grande bellezza, candidato oltretutto al Premio Oscar come miglior film straniero, sulla scelta del tema, ma “la grande bellezza” è stato proprio il filo conduttore del 64° Festival della Canzone Italiana.
Un tema che è stato sviscerato e rappresentato in diverse forme. E, senza nulla togliere a quello che non citerò, ci sono stati alcuni momenti particolarmente significativi, che è proprio bello ricordare.
Sentire Claudio Santamaria leggere una lettera che Alberto Manzi - scrittore, pedagogista, e maestro alle scuole elementari - scrisse ai suoi piccoli allievi di quinta, che ovviamente stava per lasciare, in cui li sprona a ragionare sempre con la propria testa e a non assoggettarsi mai, per nessuna ragione, alle idee altrui… stupendomi che, per una volta, quelle cose, non le avessi dette io.
La sorprendente esibizione di Laetitia Casta.
Lei e Fabio Fazio - accompagnati al pianoforte da Paolo Jannacci - che cantano Silvano, celebre brano di Enzo Jannacci… riportandomi indietro nel tempo, all’epoca della spensierata televisione in bianco e nero di Cochi & Renato.
L’inesauribile carica di ottimismo e d’energia di Raffaella Carrà.
Massimo Gramellini che, con la sua consueta garbata ironia e autoironia, ci fa fare un piccolo salto nel futuro leggendo il suo articolo, in tema col Festival, che avrebbe pubblicato il giorno seguente: una breve ma intensa esaltazione del rapporto tra bellezza e creatività che parte proprio dalla descrizione del suo ingresso sul palco del Teatro Ariston; un fatto che, per i lettori dell’indomani, sarebbe stato già passato, ma che, per tutti gli spettatori, corrispondeva esattamente a ciò a cui stavano assistendo in quel preciso momento. Un breve testo in cui Gramellini ha mostrato, concretamente, la bellezza della creatività.
Fabio Fazio e Luciana Littizzetto che declamano la lista Bello è.
La grande forza d’animo e la passione di Franca Valeri, che, col suo sketch, ha concretamente dimostrato a tutti che non bisogna arrenersi mai!... E il divertente monologo, immediatamente successivo, con cui la Littizzetto la ha reso omaggio riprendendo il suo personaggio!
Il monologo di Luciana Littizzetto dedicato alla bellezza e alla disabilità, e la conseguente acrobatica esibizione di Dergin Tokmak, ballerino tedesco affetto da poliomelite - munito di due indispensabili stampelle -, assunto stabilmente al Cirque du Soleil, talmente strepitoso da renderne impossibile l’identificazione come “persona disabile”.
La soddisfazione personale, a seguito di questa straordinaria perfomance, di constatare che in fondo il titolo dell’antologia di racconti che ho curato con Elio Marracci per le edizioni No Reply, Capaità Nascoste, è quanto mai azzeccato, e che le evoluzioni atletiche di Mister Noir, il mio eroe disabile seriale affetto da tetraparesi spastica (per pura coincidenza come il sottoscritto!), hanno un loro valido fondamento con la realtà.
La finta contestazione, che serviva a introdurre lo strabiliante flash mob canoro, apparentemente sorto spontaneamente, piano piano, dal pubblico.
Il sincero smarrimento e stupore di Fabio Fazio nel capire che, fino pochi istanti prima, era vicino a Violante Placido… e non se n’era neppure accorto.
Alessio Boni, che recita le prime strofe di Mare d’inverno di Enrico Ruggeri.
Cristiano De Andrè che canta splendidamente una canzone del padre.
Un’inedita ed effervescente Fiorella Mannoia che canta in coppia con Frankie Hi-Nrg Mc.
L’omaggio canoro di Enrico Brignano, comico di oggi, ad Aldo Fabrizi, comico della tv d’epoca.
La grande e coinvolgente simpatia di Renzo Arbore con la sua Orchestra Italiana.
L’intervento di Maurizio Crozza, in modo da farlo diventare un perfetto “sequel” di quello che gli era capitato l’anno precedente al Festval.
La solidità di Luciano Ligabue.
E poi, la gara vera e propria!
La geniale regola, anche quest’anno, di far proporre ai cantanti due canzoni, determinando solo la selezione di una delle due ma non l’eliminazione del cantante.
La bellezza, quindi, di poter ascoltare il doppio delle canzoni e di conoscere meglio ciascun interprete.
La rassicurante certezza di poter ritrovare ciascuno di loro fino alla fine.
Non sapere chi sono i Perturbazione, e ritrovarmi di fronte un simpatico gruppo musicale che sicuramente, d’ora in poi, seguirò.
La carica esplosiva delle canzoni di Raphael Gualazzi & The Bloody Beetroots e di Renzo Rubino, che si sono riconfermati, indipendentemente dagli ottimi piazzamenti che si sono meritatamente guadagnati, degli autentici talenti.
La maschera di The Bloody Beetroots, che ricorda quella dell’Uomo Ragno (o, per meglio dire, di Venom, l’alter ego oscuro di Spiderman).
La grinta e l’anima di Cristiano De Andrè.
Noemi, che alterna la sua voce calda e graffiante a continui sorrisi verso il pubblico, durante l’esecuzione delle canzoni stesse.
La maggior visibilità data alla gara delle Nuove Proposte. (E dopo 64 edizioni era ora che si verificasse!)
I continui abbracci ricolmi di commozione e felicità, idealmente rivolti a tutto il mondo, di Rocco Hunt quando ha vinto il Festival nella Sezione Nuove Proposte.
E, infine, l’assoluta immobilità di Arisa, come paralizzata da una viva emozione, all’annuncio della propria vittoria alla 64^ edizione del Festival della Canzone Italiana.
Un’edizione che la strepitosa conduzione di Fabio Fazio e Luciana Littizzetto ha ammantato, al tempo stesso, di lievità e solennità.
Un’edizione in cui, anche quest’anno, si repirava una benefica aria di serenità.
Un’edizione molto simile a quella precedente; e quindi, proprio per questo motivo, coerentemente con quello che ho scritto l’anno scorso, non posso far altro che considerare particolarmente bella!


©Sergio Rilletti, 2014