venerdì 29 gennaio 2016

MyLife - UNA VACANZA FORMATIVA (Un racconto)


Una delle cose più piacevoli della vita è proprio questa. Fermarmi a rimirar il mare.
Lo faccio spesso, quando vengo a Celle Ligure.
Mi piazzo qui, dove il mare arriva fin sotto la passeggiata, e lo contemplo; lo osservo allungarsi fino all’orizzonte, e oltre.
Il mio sguardo fluttua sulle acque, veleggia, e, sospinto dai ricordi, mi riporta al passato.
Sì, in effetti, qui a Celle, dove vengo in vacanza da ancora prima di nascere, ogni centimetro che percorro, ogni struttura che incontro, mi rimanda a epoche diverse del mio passato. Luoghi che sono stati fondamentali nella mia vita, e che ora sembrano appartenere a un’altra dimensione, ad un mondo onirico non mio. E poi le persone: alcune hanno mantenuto il loro ruolo, altre l’hanno modificato; alcune sono scomparse, altre sono rimaste, altre ancora sono magicamente apparse.
Già. Potrei fare l’intera cronistoria della mia vita vacanziera cellese, scandita dai miei mezzi di locomozione: prima il passeggino, poi la carrozzina manuale, e, infine, da circa trent’anni, le diverse carrozzine elettriche, sempre più moderne e sofisticate.
Già, potrei. Ma non so se avrebbe senso.
Vi racconterò, invece, una vacanza che non ha nulla a che fare con Celle Ligure, ma che è stata fondamentale per me, e che, probabilmente, ha contribuito a formare la persona che sono oggi.
Intendiamoci bene: io ho fatto tanti viaggi, sia prima che dopo, sia con la mia famiglia che senza, ho provato tanti mezzi di trasporto (camper, mongolfiera, e cargo olandese del 1800 compresi), e ho girato tutta l’Europa (o quasi), ma in quella vacanza, pur rimanendo in Italia, ho travalicato i confini di me stesso.

Era l’estate 1989, luglio mi pare, e quindi avevo 21 anni.
Avevo deciso di aderire ad una vacanza del Servizio Tempo Libero dell’AIAS – Associazione Italiana Assistenza Spastici – di Milano, sorto pochi anni prima con lo scopo di assicurare una vita sociale, nella sua parte più spensierata, anche alle persone con disabilità.
Io non avevo mai voluto provare, convinto che, per divertirsi, bisognasse conoscere già qualcuno. E non partecipavo molto neanche alle iniziative ordinarie, che si svolgevano durante l’anno, sempre per lo stesso motivo.
Sì, è vero che poche righe fa ho scritto che ero già andato in vacanza senza famiglia, ma comunque, negli altri casi, c’era sempre qualcuno che conoscevo: non erano mai tutti completamente sconosciuti.
Ma, quella volta, qualcosa mi spingeva ad accettare.
Qualche mese prima di ricevere l’invito dall’Aias (che, a dire la verità, dava due alternative), infatti, avevo conosciuto una ragazza, una volontaria di nome Francesca: un bel tipo mediterraneo, dal carattere gioioso ed estroverso, che mi colpì subito, persuadendomi, senza saperlo, a iniziare a frequentare le attività del Servizio.
Il mio istinto mi avvertì che Francesca avrebbe partecipato proprio a quella vacanza, e non all’altra. Così, convinto che valesse la pena di conoscerla meglio, pur non avendo alcuna certezza che ci sarebbe realmente andata, decisi di iscrivermi.
Dieci giorni in Umbria, dal venerdì alla domenica successiva.

Eravamo circa in venti, in un campeggio abbastanza vicino ad Assisi, e alloggiavamo in un gruppo di bungalow.
Io, in cuor mio, non potendo certo sperare di finire in camera con Francesca, mi auguravo almeno di essere in stanza con Alberto e Giovanni, i due educatori, che mi conoscevano bene e coi quali mi sarei sentito a mio agio; invece capitai con Matteo, Michele, e Bordiga.
Bene. Era venuto il momento di mettersi in gioco, con tre ragazzi che non conoscevo e coi quali avrei dovuto condividere la stanza, e non solo, per i successivi dieci giorni!
Ero lì, sommerso da questo pensiero, quando Michele mi gira verso un armadio di legno a due ante e cinque scaffali; e, brandendo un mio asciugamano, mi chiede: “Dove mettiamo questo?”.
Io guardo l’armadio, con tutti quegli spazi vuoti che sembrano volermi fagocitare, e rimango interdetto.
Nessuno mi aveva mai fatto una domanda del genere!
E ora, che faccio?
Per fortuna, Michele mi propone di posizionarlo nel terzo ripiano, e io acconsento subito con grande entusiasmo, come se mi avesse letto nel pensiero.
Michele continua a pormi la stessa domanda per ogni capo d’abbigliamento che trova nella valigia, e io, ormai spavaldo, rispondo sempre a colpo sicuro.
Michele e Matteo si dimostrarono subito simpatici, io entrai immediatamente in empatia con entrambi, e con Michele diventai proprio amico.
Furono dieci giorni molto belli e molto intensi, in cui ci divertimmo davvero tanto (cantavamo, scherzavamo, facevamo escursioni turistiche, giocavamo) e in cui io dovetti cimentarmi in due imprese assolutamente difficili: dimostrare una totale fiducia in tutti quei ragazzi che non conoscevo, a cominciare da Michele e Matteo, e, soprattutto, relazionarmi in modo simpatico con chiunque.
La mia amica Simona, infatti, ben sapendo che avrei partecipato a quella vacanza con lo specifico intento di conquistare l’amicizia di Francesca, mi aveva raccomandato, alla stregua di un “mental-coach” (come l’avrei soprannominata più avanti), di non stare sempre vicino a lei, per non rischiare di diventare la sua ossessione.
E così feci.
In quei dieci giorni mi adoperai per star bene con tutti, scegliendo, a volte, proprio delle iniziative in cui sapevo che non ci sarebbe stata Francesca. Apposta. Per raggiungere il mio obiettivo.
Fu un duro impegno, che mi richiese molta concentrazione. Ma riuscii a perseguirlo al meglio.
E fui ampiamente ripagato. Da tutti.
Con Francesca trovai il giusto equilibrio. Si dimostrò la bella persona che mi immaginavo, passammo anche qualche momento confidenziale in privato, e diventammo amici.
Agli altri volontari credo di aver lasciato un bel ricordo, come loro l’hanno scolpito in me, dato che quando alcuni di loro mi rividero anni dopo, per caso, mi corsero subito incontro con grande entusiasmo.
Da quella vacanza tornai con tre amici in più: Francesca, Michele, e Lisa, una bella e timida ragazza dai capelli castani e dagli occhi azzurri come il cielo terso, che ci allietava suonando il flauto traverso.
Sono rimasto in contatto anche con Giovanni, uno dei pochi educatori davvero in gamba che ho conosciuto. E di cui, riguardo a quella mirabile vacanza, conservo un ricordo-lampo unito a una sensazione indelebile.
Un giorno, mi pare il lunedì, Giovanni mi propose di fare un giro in auto, solo con lui. Io accettai. Non mi ricordo se avessimo una destinazione precisa o se fossimo partiti all’avventura, ma, arrivati a un incrocio a T, Giovanni mi domandò: “Destra o sinistra?”. Non mi ricordo se abbiamo raggiunto una meta, ma mi ricordo che il panorama verdeggiante era stupendo e, soprattutto, la sensazione che provai: un gioioso e irrefrenabile senso di libertà, che mi porto dentro ancora oggi.
Così, da quella vacanza, tornai a casa pure con un bagaglio virtuale, etereo ma capiente, in più: tre nuovi amici, la consapevolezza che si possono trascorrere dieci giorni divertenti con degli sconosciuti (poi ex-sconosciuti), e una vastità incomparabile di emozioni.
E non solo.

C’è stato un altro elemento che ha caratterizzato tutto quel viaggio, una componente fondamentale di ogni persona, presente anche in un periodo ludico come quello: la quotidianità; ovvero quell’insieme di mansioni che si devono compiere tutti i giorni per vivere dignitosamente.
Lavarsi, nutrirsi, e dormire: queste sono le tre attività principali che costituiscono la quotidianità di una persona. Tolto il dormire, che è una funzione di estremo relax che si pratica necessariamente da soli, esistono comunque le altre due, che, per una persona con problemi motòri e di articolazione del linguaggio, comportano l’attivazione immediata di due fondamentali qualità: la pazienza e la fiducia. Estreme. Più, ovviamente, una buona dose di disinibizione, che, se non ce l’hai, devi comunque acquisire all’istante. Soprattutto se devi affidarti anima e corpo, soprattutto corpo, a qualcuno che non hai mai visto prima!
E così, una volta riposta tutta la mia roba negli scaffali, venne il momento della prima doccia.
Con i relativi ostacoli, psicologici e materiali, da superare.
E mo’, come glielo spiego? Che cosa accadrà?
Al di là di tutto, era questo che mi domandavo.
Michele e Matteo erano simpatici, questo è vero, ma comunque l’imbarazzo persisteva!
Per me era già difficoltoso aprire bocca per conversare, ma almeno quello (ridere, scherzare, scambiarsi gusti e opinioni, confidarsi), era una cosa naturale. In quel momento, invece, di naturale non c’era proprio niente. E il pensiero di dover impegnare un altro a comprendere qualcosa che in una conversazione normale non ti sogneresti di dire affatto, non aiuta certo l’emissione della voce.
Eppure dovevo farlo. Per forza. Per rispetto di me stesso e di chi mi voleva aiutare. I momenti goliardici e intellettivi sarebbero venuti dopo, ma quello era il tempo del rispetto e della fiducia.
E dovevo sperare che i miei due interlocutori di turno, oltre ad essere di indole buona, fossero pure tipi svegli, che riuscissero a entrare in sintonia con me, e, soprattutto, che non facessero finta di capirmi, vanificando, altrimenti, ogni mio sforzo.
Il lavaggio, alla fine, andò bene.
Così come pure la medesima vestizione del sottoscritto.
Bene. Era fatta. Ora potevo uscire dal bungalow, e andare a divertirmi con gli altri. E, soprattutto, con le altre: Francesca, Lisa, e Compagnia Bella!... Nel senso più appropriato del termine!

Già. Sarà un mistero, o forse no, ma io mi trovo molto meglio con le donne che con gli uomini.
Ho molte più amiche che amici, alla faccia di chi non crede all’amicizia tra uomo e donna!
Sarà perché le donne sono più disinvolte e perspicaci (come sostengo io), sarà perché io sono un volpone (come sostengono gli altri), ma è un dato di fatto che la mia vita è costellata da donne. Alcune mi aiutano nella mia vita quotidiana (ognuna a modo proprio), altre mi supportano in imprese memorabili (come quella di affermarmi come scrittore), altre ancora mi sono semplicemente amiche; ma le donne, nella mia vita, hanno un ruolo fondamentale.
Anche nei momenti ludici, ovviamente!
Così, in Umbria, quando giocavamo o facevamo le gite fuori camping, tendevo a rimanere con loro (anche se in realtà, seguendo il consiglio di Simona, mi dividevo volentieri tra tutti).
Invece, durante i momenti di libagione, dove i piaceri della tavola si univano a quelli della conversazione, fondendosi insieme in un’unica sfavillante portata, la mia tendenza alla compagnia femminile si faceva molto più marcata.
Ebbene sì. Finalmente, a tavola, potevo intrattenere e intrattenermi senza grossi vincoli di tempo, e gestire i rapporti con maggior agilità, senza il rischio di repentini cambi di scena.
Sì, certo, anche durante il tempo delle libagioni occorrevano pazienza e fiducia, soprattutto se, oltre a farti imboccare al meglio delle possibilità altrui, volevi impostare un dialogo vero e non preconfezionato; ma almeno, lì, non c’era alcun imbarazzo da vincere, e la voce mi usciva d’incanto.

Così, aprendo la mente verso tutti, approfittando di tutti i momenti spensierati di gruppo, e creandone pure qualcuno privato, ho passato una vacanza indimenticabile, forse la più particolare della mia vita.
Una vacanza che, data la sua natura e come si è svolta, non esiterei a definire formativa!

Ora sono qui a Celle Ligure, sulla mia carrozzina elettrica, e contemplo il mare.
Come ho detto all’inizio, è probabile che quella vacanza abbia contribuito a farmi diventare quello che sono oggi.
Da allora, infatti, non ho più smesso di cercarmi nuovi amici e, soprattutto, nuove amiche. Da solo, senza alcun familiare di supporto. Proponendomi degli obiettivi che, spesso, raggiungo.
Spirito d’avventura, secondo me.
Quello stesso spirito che ora mi fa ruotare la carrozzina a destra, e incamminarmi, oltre i confini di questa città priva di barriere architettoniche, verso Albissola.
Sì, è una meta abbastanza vicina e facile da raggiungere, questo è vero, ma, per me, è un rinnovato senso di libertà, un piccolo viaggio verso l’Ignoto.


©Sergio Rilletti, 2015