mercoledì 22 marzo 2017

MyLife - CARO AMICO, TI PRESENTO IL MIO DIO (Un testo autobiografico inedito)


Salve a tutti!... Nel Maggio 2001 partecipai, con la Parrocchia Sacro Cuore di Gesù alla Cagnola di Milano, a un ritiro spirituale a Verona.
Durante quel ritiro, Padre Giuliano Franzan ci diede il compito di scrivere una lettera aperta intitolata Caro amico, ti presento il mio dio.
Non era un lavoro di gruppo. Ognuno doveva scrivere la propria, e poi metterla in un cesto comune.
Ne scrissi una anch’io.
Ora, dopo tanti anni, in occasione dell’imminente visita di Papa Francesco a Milano e della S. Messa che celebrerà sabato pomeriggio al Parco di Monza, a cui io parteciperò, ho deciso di renderla pubblica; in modo da celebrare, come meglio posso, questo importante incontro, e farmi conoscere, a chi lo volesse, anche sotto questo aspetto.

Sergio Rilletti
(Milano, mercoledì 22 marzo 2017)


Verona, 6 maggio 2001


Caro Amico,
                      ti presento il mio Dio.

Forse ti sembrerà un inizio un po’ pretenzioso. Come si fa a presentare qualcuno che, fino a prova contraria (e finora non ce n’è neanche una!), ha creato tutto il mondo?
Quindi, se Dio è il mondo, come fa ad appartenermi? Come fa ad essere mio?
Lo so che è un po’ difficile da capire, eppure è proprio così; e me lo porto sempre qui, in saccoccia.

Io mi sveglio, penso a Lui, e spero che mi dia la forza per vivere la giornata seguendo la Sua volontà; a volte lo prego per questo, a volte mi limito a sperarlo.
Poi mi alzo, e inizio la mia giornata; una giornata molto lunga e intensa, durante la quale lavoro, mi diverto, incontro persone, e progetto.
Durante tutto il giorno, Dio è con me. A volte gli chiedo aiuto, a volte me lo dà spontaneamente, altre volte mi sembra che mi faccia degli orribili scherzetti, e mi arrabbio: come farei con un amico.
Sì, perché Dio è un amico.
A volte lo incontro nel sorriso di un ragazzo, a volte, più spesso, in quello di una ragazza. Enzo e Simona. Potrei citare un sacco di sorrisi con cui mi si è presentato Dio, ma sono stati i loro ad invadere la mia vita, travolgendola, strappandomi dal mio bene amato eremo per catapultarmi a diretto contatto con il mondo.
Certamente non me ne sono accorto subito, anche perché è un po’ difficile vedere il volto di Dio nel viso di una ragazza come Simona, ma, considerando la concatenazione di eventi che hanno portato allo stravolgimento della mia vita e alla mia emancipazione, non ho più dubbi.
A volte mi capita di accorgermi del Suo intervento subito, a volte, tenendomelo sempre in saccoccia, invece no. Comunque, appena me ne accorgo, gli telefono e lo ringrazio.
Sì. Gli telefono, compiendo il segno della croce, lo ringrazio, lo prego per me e gli altri, gli chiedo alcune spiegazioni (a volte anche in maniera irruenta), e, se mi accorgo che quello che avevo considerato un orribile scherzetto è sfociato in qualcosa di buono, gli chiedo scusa.
Cerco di farlo regolarmente, facendo mente locale su quanto mi è capitato durante la settimana.

Ecco, ti ho presentato il mio Dio. Non so se questo è l’approccio giusto da avere con Lui, ma per me è un amico, e pertanto lo tratto come tale.

Ciao!
Sergio

mercoledì 15 marzo 2017

MyLife - LOURDES '88: IL GIALLO (Un racconto autobiografico)


Era il 22 aprile 1988. La diocesi di Milano era andata a Lourdes per un pellegrinaggio di tre giorni.
C’ero anch’io.

Arrivammo alle 10.30 del mattino.
Al pomeriggio celebrammo la S. Messa alla Basilica S. Pio X, e, subito dopo, la processione delle Confessioni alla Cité St. Pierre. La serata era libera.
Io, da buon amante della natura, mi ero prospettato di trascorrerla analizzando quel bel fiorellino di Simona; invece dovetti accontentarmi di contemplare quella faccia di bronzo di Riace di Enzo.
Fuori pioveva, la mia carrozzina aveva bucato, costringendomi, così, a restare in albergo.
Ah, che magnifica schifosa serata!
Proprio il clima adatto per un giallo alla Ellery Queen.

Ero nell’atrio con Enzo, don Serafino, e qualche signora che non conoscevamo.
Stavo raccontando a don Serafino, che era uscito a vedere la Fiaccolata, che eccitante serata avevo passato in compagnia di Enzo, quando un inserviente dell’albergo irruppe nell’atrio. Ci fece capire, non so come, che due signore del terzo piano stavano scappando dalla loro camera.
Don Serafino ed Enzo, con un balzo felino, saltarono in ascensore.
Passai dieci lunghi minuti (ognuno, sicuramente, molto più lungo di 60 secondi) in compagnia di una signora, non del nostro gruppo, che, vedendomi in carrozzina, mi aveva scambiato per un bebè (quanto mai mi ero tagliato la barba quella mattina!), trattandomi come tale.
Voltavo le spalle alla sala da pranzo; quindi, anche se avessi voluto, non avrei nemmeno potuto rifarmi la vista con la dolce e soave visione delle cameriere.

Enzo e il Don ritornarono e si misero seduti accanto a me. Ci dissero che al terzo piano due signore si erano spaventate perché avevano sentito (ma non udito!) odore di filo bruciato.
Fu subito il panico: gente terrorizzata che urlava, strillava, si strappava i capelli. Non volevano più andare a letto; volevano scappare, fuggire, chiamare i pompieri, la polizia!
Enzo e don Serafino cercarono di calmare gli animi, di ridimensionare il panico. E, vi assicuro!, fu un’impresa molto ardua. Io, come ogni volta che mi trovo coinvolto in qualche avventura o in qualche situazione difficile, scoppiai a ridere.

Dopo una buona decina di minuti, i miei due compagni riuscirono a spegnere l’infernale panico.
Salimmo al nostro piano: il primo.

Enzo era sul punto di aprire la porta della nostra camera, quando si bloccò. “Sentite,” disse, “io non avrei nessun problema ad andare a dormire su. Almeno tre signore potrebbero venire qui.”
Io accettai subito, e anche don Serafino: eravamo sicuri che non sarebbe successo niente; e poi, come insegnano i film catastrofici, dovevano pur esserci due o tre eroi!
Enzo ritornò nell’atrio.
Il Don mi propose di andare sul luogo del delitto a raccogliere indizi, e scoprire cos’era accaduto.
Io accettai: fra i tre, e probabilmente tra tutti, ero l’unico lettore di romanzi polizieschi, e quindi mi sentii quasi obbligato di incaricarmi delle indagini. E poi, come tutti i detective dei gialli hard boiled che si rispettino (verso i quali ho una particolare predilezione), anch’io ero uno sportivo; quindi mi sarebbe potuto capitare di fare un po' di ginnastica notturna con qualche bella spia. Magari la spia era proprio la cameriera dai capelli rossi.
Eh, sì! Quell’indagine poteva risultare molto eccitante.

Nell’ascensore riflettei su chi poteva essere stato e sul suo movente. Mi balenò in mente un’idea.
Possibile? mi dissi. Un appassionato di film catastrofici che, dopo aver visto il grande successo di L'Inferno di cristallo e Fiamme su New York, abbia deciso di girare Gran focolare a Lourdes? In stile documentario, e senza neanche avvertirci?
L'ipotesi, perfettamente plausibile, mi turbò un po’.

Approdammo al terzo piano.
Io continuai a riflettere: Il colpevole dev’essere, ovviamente, qualcuno nell'albergo, qualcuno che conosca bene i nostri spostamenti; quindi praticamente tutti! E poi, continuai, una volta svelato il mistero e trovato il colpevole, come mi devo comportare? Sicuramente come il grande Hercule Poirot, svegliando tutti nel cuore della notte, riunendoli nella hall - personale compreso -, ed esporre tutte le mie brillanti deduzioni fino alla soluzione del caso.
Appena arrivati non sentimmo alcun odore, ma, man mano che andavamo verso le camere, la puzza aumentava.
Giungemmo alla camera famigerata: la 310. Lì effettivamente l'odore era molto forte.
Arrivò anche Enzo con le signore.
Don Serafino aprì piano piano la porta, dimostrando, così, quello che già sapevo: non era un lettore di romanzi polizieschi. In questi casi, infatti, è consigliabile aprire la porta con estrema violenza, preferibilmente con un calcio, in modo da trasformare l’eventuale malintenzionato che si nasconde dietro (dato che, come si sa, dietro alle porte si nascondono solo i malintenzionati!) in un bassorilievo scolpito nel muro.
Don Serafino voleva entrare, ma io lo fermai. Estesi il pollice e l'indice, e spianai la mia mano contro la stanza: ho le mani abbastanza grandi, quindi qualcuno, da lontano, con la coscienza sporca e facilmente impressionabile, avrebbe potuto pensare che avessi una 44 Magnum in pugno, terrorizzarsi, arrendersi, e confessare tutto!
L’idea era sicuramente buona, ma la stanza risultò vuota. Comunque, per maggior sicurezza, feci tre volte il rumore dello sparo: se c’era qualcuno nascosto avrebbe sicuramente urlato!
Silenzio assoluto. Non si udì nulla. Niente di niente.
Mai come allora mi sentii così... pistola!
Don Serafino entrò con estrema circospezione e scrutò attentamente tutta la stanza. Non vide nulla di sospetto. Si accostò al calorifero e ci posò la mano. Il suo volto diventò ben presto paonazzo. “Ahio! Come scotta!” esclamò.
“Ma certo!” esultai.
“Ma certo, che cosa?” si stupì Enzo, il denigratore dei denigratori dei romanzi polizieschi e di tutti quelli d’azione.
“Vedi, caro Enzo,” lo spirito di Sherlock Holmes si era reincarnato in me, “quando i caloriferi vengono riaccesi dopo parecchio tempo, mandano odore di bruciato. Ed è esattamente quello che è successo qui questa sera!... Elementare, Enzo! Elementare.”
Ci congedammo dalle signore svelando il terribile mistero che si era celato dietro le mura di quell’albergo.
Per noi il caso era chiuso. E io avevo deciso: Da grande avrei fatto l’investigatore privato!


©Sergio Rilletti, 1988


mercoledì 1 marzo 2017

MyLife - LOURDES '88 (Un racconto autobiografico)


“Il motivo per cui una persona decide di andare a Lourdes” mi aveva detto don Serafino quando mi aveva proposto di andare con loro, “è esplicito.”
In effetti anche a me sembrava chiaro che a Lourdes ci si andasse per pregare, e, sinceramente, avevo paura di dover fare sempre e solo quello.
Comunque, dopo qualche giorno di riflessione, ho accettato di buon grado... e feci bene!

Ci trovammo tutti puntuali alle 18 in stazione, compresa, miracolosamente, quella perenne ritardataria di Simona. Ovviamente, però, per il treno non ci fu nulla da fare: arrivò in ritardo di un'ora!
Sul treno si sentiva già un clima di fratellanza che poi, coi compagni di scompartimento e con qualcun altro, si è trasformato in un sereno rapporto di quasi-amicizia.

Arrivati puntuali a destinazione (evidentemente nell'orario era già stato compreso il ritardo iniziale) prendemmo posto nelle nostre camere, e ci stemmo fino all’ora di pranzo. I pasti non erano un granché, ma io ed Enzo potemmo risollevarci il morale con la visione delle cameriere.

Al pomeriggio andammo alla Basilica di S. Pio X a celebrare la S. Messa.
Appena entrato fui colpito dall’immensità di quella colossale struttura. La Basilica era lunga 201 metri e larga 81. Da un punto di vista estetico faceva un po' desiderare, ma come funzionalità era ottima: grazie alla sua grandiosità, alle sei entrate, e soprattutto agli scivoli, tutti potevano circolare comodamente, persone disabili comprese.
La funzione iniziò.
Io ero in prima fila con i miei due fedelissimi assistenti. L’organo cominciò a suonare inondando la Basilica della sua musica maestosa. Entrarono i sacerdoti, tra i quali c’era anche don Serafino, e sette ragazzi con grandi bandiere a scacchi bianchi e gialli con, al centro, lo stemma della Chiesa principale della propria zona pastorale. Tra  orazioni, salmi, e canti corali, ci sentimmo tutti uniti in un unico spirito.
Non avevo mai provato una  sensazione simile.
Fu subito all’inizio della celebrazione che ci giunse la notizia che il Cardinale Carlo Maria Martini non era venuto a Lourdes, deludendo così seimila pellegrini.

Subito dopo la celebrazione facemmo la processione penitenziale fino alla Cité St. Pierre per la Celebrazione delle Confessioni; i sacerdoti raccomandarono di svolgerla nel massimo silenzio, e invece, con mio grande stupore, ci fu un continuo cicaleccio.
Durante questa processione potei assistere ad un grande incontro tra due amici che non si vedevano da tanto tempo; ed è anche questa la bellezza dei pellegrinaggi di massa.

La sera era libera.
Io mi ero prospettato di trascorrerla allegramente con quel fiorellino di Simona, invece la passai noiosamente con quel mostro di Enzo.
Solo verso fine serata ci fu un piccolo giallo che la ravvivò un po’; ma questo ve lo racconLa notte fu disastrosa.
Dovevo ascoltare, mio malgrado, un concerto da camera in stereofonia: a sinistra, Enzo che parlava e urlava nel sonno, a destra, don Serafino che russava.

Sabato, dopo la S. Messa, celebrammo la Via Crucis nella Basilica S. Pio X, rievocando i quindici momenti più importanti dalla condanna di Gesù alla sua risurrezione.
Ci unimmo ancora una volta, formando un'unica voce e un unico spirito.

Verso le 2 del pomeriggio andammo su un irto pendio, sudando pioggia, a svolgere fisicamente la Via Crucis. Ci incamminammo e, ad ogni Stazione, ci fermammo recitando un’Ave Maria, e, all'ultima, l'intero Rosario, che, naturalmente, non fu l’unico. A volte ci trovammo assieme ad altri gruppi, a volte anche stranieri.
Fino a quel momento non avevo mai visto di buon occhio quelli che recitavano il Rosario: mi sembravano dei robot programmati per ripetere meccanicamente cinquanta volte la stessa frase; ma fu in quel momento che capii che non era così: ripetendolo in gruppo ci si sente tutti più uniti, più vicini, più affratellati; a me venne quasi istintivo associarmi anche oralmente alla preghiera.

Verso le 16.30 tornammo alla Basilica, che, ormai, era diventata la nostra seconda casa. Celebrammo la processione eucaristica.
Una marea di gente inondava l'intera Basilica.
Io ero sul risciò (la mia carrozzina aveva bucato) in prima fila con gli altri invalidi.
La funzione fu celebrata in più lingue. I sacerdoti avanzarono piano piano, con l'Ostensorio in mano, a dare la benedizione. Sulla parte superiore della Basilica sacerdoti e pellegrini avanzarono lentamente, ceri in mano, percorrendo l’intero perimetro.
Tutto questo contribuì a diffondere un clima di pace, di serenità, e, perché no!, anche di magia e di onnipotenza.

Il resto del pomeriggio lo passammo a fare compere. Con uno stratagemma degno di un film di spionaggio riuscimmo a comprare un regalino per Simona senza che lei se ne accorgesse.

Alle 21 andammo all’Esplanade per svolgere la Fiaccolata. Potete facilmente immaginare che delizia svolgerla sotto la pioggia... e con il vento! Migliaia di pellegrini avanzavano lentamente recitando il Rosario in varie lingue, latino compreso, alzando e abbassando ritmicamente le proprie fiaccole; tutti i pellegrini occupavano quasi l'intera superficie dell'Esplanade, formando, così, un'interminabile fila. Se qualcuno l’avesse osservata dall'alto, avrebbe notato una vasta distesa luminosa che scintillava nell'oscurità.
Quando recitavano le preghiere in latino io mi sentivo emarginato, e come me, probabilmente, molti altri giovani che non hanno studiato questa lingua. Ora, riflettendoci, il latino è la lingua-madre per eccellenza: da lei sono nate la maggior parte delle lingue occidentali; quindi, pregare in latino, è un simbolo di unione e di comunità.
Fu durante questa celebrazione che conobbi un signore di Savona: vedendo che mi stavo bagnando per bene (non potevamo alzare il tetto del risciò perché, altrimenti, non avrei più potuto tenere in mano la fiaccola), si avvicinò e mi coprì col suo ombrello. Dopo la Fiaccolata, che, a causa del tempo, si celebrò in versione ridotta, scambiammo quattro chiacchiere e ci separammo.
Andammo a vedere la Grotta; dicemmo tre Ave Maria e cantammo la Salve Regina in latino. Enzo e Simona vollero rimanere soli soletti (...!), e io, don Serafino, e tutti gli altri, tornammo in albergo.

Quando Enzo e Simona tornarono, ci mettemmo a scrivere le cartoline.

E così venne domenica. (Il fatto, lo ammetto, è molto consueto!)
Alle 9 andammo alla solita Basilica a celebrare la S. Messa internazionale.
In questa occasione la Basilica raggiunse il culmine della presenza e della partecipazione.
La Messa era detta in francese, inglese, tedesco, spagnolo, e italiano.
Ciascun sacerdote ripeteva la preghiera nella propria lingua e i suoi fedeli gli rispondevano. Mi accorsi subito che la lingua più calda, quasi amichevole e confidenziale, era lo spagnolo; mentre quella più dura era il tedesco.
Una magica atmosfera si diffuse in tutta la Basilica. Alcune suore offrirono l’Acqua Benedetta di Lourdes agli invalidi; la bevvi anch'io.

Alle 11 andammo alla Grotta a celebrare la conclusione del pellegrinaggio donando alla Madonna sette ceri e le nostre sette bandiere. Dopodiché ritornammo tutti in albergo.

Il viaggio di ritorno andò bene, anche se, io ed Enzo, involontariamente, facemmo preoccupare i nostri compagni di scompartimento con una finta scazzottata degna di un film di 007. Ci pentimmo subito di aver fatto spaventare tante persone per niente; così, ora, ne approfitto per chiedere scusa a nome di tutt'e due.

Ora, anche a costo di sembrare lagnoso e molto retorico, devo fare i dovuti ringraziamenti a un numero abbastanza consistente di persone.
Voglio ringraziare tutti quelli che hanno contribuito a farmi passare serenamente questo pellegrinaggio; e più precisamente: don Serafino che mi ha offerto di fare questa magnifica esperienza, i miei insostituibili assistenti Enzo e Simona, tutti quelli che mi hanno tenuto compagnia, e, anche se non hanno partecipato al pellegrinaggio, i signori Pirola.


©Sergio Rilletti, 1988